” Lo sguardo che si giunge ad avere sul bambino influenza il suo divenire,
il suo divenire adulto e a sua volta educatore”(E.Patrizi, 2013)
IN QUESTO TEMPO DI COVID-19 E DAD, STIAMO VIVENDO UN MOMENTO CHE CI OBBLIGA A PRENDERE COSCIENZA E AD AVERE A CHE FARE CON L’INTERCONNESSIONE, LA RECIPROCITA, CON L’IMPREVEDIBILITÀ, con la FRAGILITÀ, CON L’EMERGENZA, CON L’INCERTEZZA: COME EDUCATORI ABBIAMO IN MENTE DI VIVERE COI BAMBINI (I FUTURI CITTADINI) AD AFFRONTARE TUTTO QUESTO CHE POTREBBE DIVENTARE (già da oggi) LA NORMALITÀ, ANCHE IN TERMINI DI ECONOMIA, SOSTENIBILITÀ E CONVIVENZA TRA I POPOLI?
( Le insegnanti della Scuola Infanzia S. Arialdo- Cucciago Como)
Abbiamo in mente una scuola che si pone nella condizione di accogliere la dimensione e il valore dell’incertezza e della complessità? Cosa significa vivere ogni giorno a scuola il valore della complessità? Come si fa a riconoscere e a sostenere la complessità?
La complessità si genera dalle domande. Quelle vere, quelle che non hanno già una risposta:
– come progettiamo gli spazi della scuola?
– abbiamo in mente che lo sviluppo e il funzionamento cerebrale è complesso? E che si manifesta nella propensione ad abdurre, connettere, legare mondi?
– abbiamo in mente di tenere nella giusta considerazione l’unicità dei modi di essere e dei modi di apprendere di ciascuno?
Spesso la tentazione è di semplificare e organizzare per i bambini l’attività giusta con la procedura giusta per apprendere una certa competenza. Il tentativo è quello invece di ipotizzare e disporre dei contesti di apprendimento e incuriosirsi di ciò che potrà succedere.
Pensare lo spazio e i suoi materiali non basta. È solo l’inizio del lavoro. La nuova tentazione è quella di pensare che allestito il contesto poi siano i bambini quelli che ci lavorano e imparano e l’insegnante non è più chiamata in causa. Il tentativo è per l’adulto è invece quello di sentirsi dentro il processo di apprendimento e tentare di stare nello spazio coi bambini. Certamente il bambino mette le sue intenzioni, dà il suo senso e impara a prescindere da noi, però:
– qual’è il valore della presenza dell’insegnante a scuola?
– come si connettono bambino e insegnante?
Ci interessa cogliere più da vicino che cosa accade negli spazi.
“I bambini ( a mio avviso) non solo entrano a far parte della cultura attraverso l’utilizzo del linguaggio, o meglio dei linguaggi, ma, se posti in condizione valorizzante, producono processi e prodotti culturalmente significativi, cioè in grado di elaborare nuovi significati” (C. Rinaldi, da Il sipario)
Cosa vuol dire ‘mettere i bambini in una condizione valorizzante’? Se Valore è l’unicità del bambino, dove ‘trovo’ la sua unicità? La creatività dei bambini e la loro unicità si ritrova più facilmente nei processi ( espressione di complessità) che nei risultati. La Rinaldi suggerisce qualcosa in più però, parla di bambini che ‘elaborano significati nuovi’ quindi , suggerisce, una problematizzazione del rapporto insegnamento – apprendimento che pone anche l’insegnante in una dimensione di apprendimento continuo.
La nuova tentazione è pensare che ciò che conta sia il risultato, il prodotto. Il tentativo è invece cogliere i processi unici dei bambini nel loro incontro con gli altri, con gli spazi e i materiali.
La tentazione è pensare che l’osservazione riguardi solo i bambini o gli ‘altri’ in genere. Il tentativo è quello di auto-osservarsi come insegnante e di cogliersi in apprendimento e in divenire:
– qual’è il valore aggiunto della presenza dell’insegnante?
cosa apprende l’insegnante ogni giorno?
– abbiamo in mente una progettazione che sostenga dei processi trasformativi? Trasformare inteso come ‘abitare insieme cambiando le forme’?
– abbiamo in mente di dare risposte ai bambini o di porre loro domande?
– che credito diamo alla capacità ‘negativa’? Il saper attendere, il sostare, il non sapere? Sia nello stare del bambino che nello stare dell’insegnante?
– che valore e significato diamo all’errore nei processi conoscitivi?
Possiamo pensare allo spazio come Spazio “creaturale” (Bateson, Bateson, 1989, p. 286) dunque, perché segue logiche plurime – le forme interconnesse proprie della vita – e che, pertanto, non contiene “cose” ma “relazioni”:“raffina la nostra sensibilità per le differenze e rafforza la nostra capacità di tollerare l’incommensurabile.”
La conoscenza funziona per comunicazione tra differenze, connessioni, ibridazioni e persino meticciamenti, tra oggetti e piani, sfondi e configurazioni allora o spazio e gli strumenti sostegno la possibilità di esasperare-amplificare per configurarsi come esercizio-preparazione-propedeutica alla ‘ricerca’ intesa come spinta verso l’esplorazione dell’ignoto e del non ancora pensato, mai visto, neppure immaginato.
Lo spazio diventa luogo di esercizio epistemologico complesso. L’insegnate deve sempre chiedersi:
“ cosa è importante?” Cosa ho notato? come quel bambino mostra il suo pensiero? La sua unicità? Come posso sostenere e rilanciare il suo processo di apprendimento? Cosa succede se metto un certo tipo di materiale? Cosa succede quando c’è un cambiamento? Quali strategie mette in atto quel bambino per affrontarlo? Il suo ruolo nel gruppo è stabile o si modifica? Quali altri ruoli assume?Cambia anche secondo al tipo di contesto? Tipo di spazio o tipo di gruppo?
Nel suo progettare l’insegnate si crea degli schemi di attesa consapevoli che hanno funzione orientativa e devono restare sensibili ai cambiamento che l’incontro coi bambini suggerisce.
Non bisogna mai perdere il senso e il significato fondamentale di ciò che si fa: le azioni e le forme dei bambini e degli adulti si costruiscono all’interno di questo senso
Un racconto di quotidianità a scuola: il primo incontro al parco.
Con N. abbiamo scelto di incontrare i bambini (dopo la riunione con i genitori e prima che iniziassero la scuola) al parco giochi. In due momenti: 4 bambini ogni volta e scaglionando gli arrivi. Volevamo che almeno potessero vederci e conoscerci senza mascherina e visiera. Durante il gioco/ incontro, mettevamo e toglievamo mascherina e visiera così da presentarci in “diverse” versioni. Abbiamo pensato che così quando fossero arrivati a scuola già ci avrebbero riconosciuto anche in versione “robot”.
DARE SENSO PRIMA
– non abbiamo fatto il “solito” open day a giugno per conoscere i bambini e già questo ci poneva delle domande sul come fare
– ci sembrava troppo importante ( per come siamo fatte) conoscerli o meglio prendere un contatto prima, soprattutto perché al contrario il primo contatto sarebbe stato con mascherina e visiera ( questo a noi due preoccupava)
DARE SENSO DURANTE
– i genitori hanno potuto stare lì tutto il tempo e interagire con i loro bimbi e con noi
ciascun bambino si approccia a noi con modalità e tempi molto diversi così già cominciamo a conoscerli nei piccoli gesti
una bimba mi guarda intensamente..ho la visiera e mi dice: “ La voglio anche io!” ( questione da riprendere)
qualcuno dei bambini già ci chiama e ci da la mano
i genitori hanno potuto parlarsi tra di loro e magari cominciare a conoscersi. Diversi sono venuti in coppia.
il parco è stato proprio un contesto favorevolissimo. È il loro ambiente (non il nostro). È come essere andati un po’ a casa loro?
qualcuno è arrivato con il cuginetto o la sorella (nostri ex alunni) e abbiamo giocato tutti insieme. È passato anche qualche nonno a “curiosare” e salutare!
mi sento molto osservata dai genitori. Una cosa sola cerco di superare e nascondere: l’enorme stanchezza ( questi incontri così intensi avvengono dopo giornate piene di “lavoro” cariche di “pesi” riguardanti la ripartenza). Penso anche al mio essere ‘anziana’ ma..la domanda di una mamma giovanissima: ” Posso dare del tu?” Mi ha molto aiutata a sminuire lo scarto generazionale che pur è così evidente ! Forse anche perché è ciò che sento di più in questo momento
DARE SENSO DOPO
ho visto proprio nello sguardo di L. Il cercare di riconoscermi / ritrovarmi. I suoi occhi domandavano: “Sei la maestra?”
con i genitori, l’arrivederci al parco o il rivederci nell’immediato dopo il parco per i colloqui ha aggiunto ( per noi) “vicinanza” a questi momenti delicati
il “nascondere ” la stanchezza mi aveva un po’ messo a disagio rispetto l’autenticità..però mi ha fatto riflettere molto sul lavoro che mi attende nel “misurarmi” su questo aspetto di maestra anziana in questo anno
ha senso fare a giugno un open day con i bambini? Cosa può voler dire per loro venire 1 ora al 3 giugno per ” conoscere” la scuola e le maestre e poi incontrarle di nuovo al 7 settembre? Cosa può rimanere a un bambino di 2 anni e qualche mese o tre? Penso di non riuscirei più a fare a meno di un incontro con loro appena prima dell’inizio della scuola
quanto sono importanti i contesti “altri” per “fare scuola”?
ci viene chiesto dall’istituzione di non “sconfinare” il ruolo perché troppo pericoloso ( e non si tratta di virus) e invece sembra che serva l’esatto contrario. Sento i “confini” e scelgo quelli da superare e quelli no: scelte dettate dal “senso” e dallo scambio/ condivisione con la collega, i bambini e le famiglie
aspetto il giorno di tornare al parco con i bambini partendo e tornando da/a scuola. Cosa coglieremo?
L’insegnante cerca di dare un senso prima, durante e dopo in un costante gioco di sguardi rivolti ai bambini, genitori, colleghe e a se stessa. Non solo quando è scuola ma anche nei momenti di supervisione, in cui, nel confronto con gli altri e con un osservatore esterno ( supervisore) ha la possibilità di cogliere il suo proprio modo di essere e quindi di interpretare le cose.
Stralcio di una supervisione ( S: supervisore- I: insegnante)
S: che scoperte e difficoltà avete incontrato nello stare coi bambini come dei ‘ricercatori’?
I: veramente io all’inizio mi sentivo una ricercatore di procedure.. di soluzioni immediate. Cercavo qualcuno che mi dicesse ‘fai questo..fai quello’. Mi aspettavo delle linee guida con indicazioni precise.
S: volevi che qualcuno ti insegnasse come fare?
I: si..per esempio per gestire l’assemblea..non sapevo da dove cominciare, cosa dire e avrei voluto che F. ( collega più anziana) Mi dicesse:’guarda che si fa così’
S: hai avuto dei momenti per condividere con F. La struttura della giornata?
I: si però non basta perché la complessità è tanta. Ci sono decisioni da prendere, sono tante, le priorità da scegliere ..non so come organizzare azioni e pensieri. Non mi piace passare per incapace. Non voglio che si pensi che non faccio le cose perchè non voglio, se non le faccio è perchè non so come farle
S: Mi pare di capire che temi il giudizio degli altri, è cosi?
I: Sì. sempre. Mi piace far vedere che so fare..e poi ho difficoltà nel chiedere spiegazioni ad altri colleghi che non siano F. ..forse per la paura di disturbare..